Il costante richiamo alla terra

Buonasera, lo so, doveva essere un diario quotidiano e quotidiano non è, ma proprio per la sua sincerità è giusto che venga compilato nei momenti in cui mi è possibile farlo e, soprattutto, nei momenti in cui c’è qualcosa da dire.

Oggi pomeriggio sono tornato, dopo troppo tempo a imbracciare forca, vanga, zappa e a far sprofondare le dita e i pensieri nella terra, prima secca per il sole di questa meravigliosa giornata, poi umida e profumata.

Ho conosciuto, grazie all’amico che c’era con me, il verso della quaglia, che ci ha accompagnati per tutta la durata della nostra permanenza, insieme ai numerosi e differenti ronzii delle piccole tribù che popolano l’aria circostante alle piante.

Il sole, gli insetti, l’aria a tratti calda e mite e a tratti più irruenta e fresca. La civiltà e i suoi rumori distanti. Qui possono arrivare alle mie orecchie solo i piccoli abitanti delle terre coltivate (e non avvelenate), e il suono metallico degli attrezzi che si scontra con i sassi nascosti sotto a questo terreno fertile.

Il mio lavoro consiste nello scrivere. Questo non significa che una scrivania e una tastiera possono bastare. È vero, le parole sono nei libri e nelle biblioteche, ma a volte, smuovendo la terra non riaffiorano solo lombrichi e radici di vecchi abitanti di quel luogo, ma riaffiorano le parole, quelle profonde, dell’anima di chi si sente ancora fortemente ancorato alla materia da cui tutto nasce.

Le mani sporche di terra, racconto presente nel mio libro Appunti di Vista, è nato proprio qui ed è qui che spesso ho bisogno di tornare; dove i miei libri e i miei maestri sono silenziosi, ben saldi nel terreno e sfiorano la loro piccola porzione di cielo. È nei frutti che mi offriranno, grazie alla sinergia che si crea qui, che troverò ancora una volta la luce di un Sapere antico, semplice e genuino.

Ancora una volta riscopro la mia via maestra nella semplicità.

Ancora una volta la terra mi manda a casa col sorriso.

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