Relazioni e conflitti tra uomo e fauna – L’intervista a Valerio Di Biase

Buongiorno e buon lunedì! Oggi andiamo ad approfondire un po’ la questione del rapporto tra uomo e fauna, andando a conoscere un po’ più nello specifico le realtà delle aree protette, ovvero i parchi naturali, regionali o nazionali che siano.

Per farlo, vi propongo l’intervista che il mio amico e collaboratore Alessandro Sette, ha fatto a Valerio Di Biase, esperto di relazioni uomo-fauna

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L’intervista

A cura di Alessandro Sette

Buongiorno Valerio, abbiamo richiesto la sua disponibilità per discutere in modo approfondito la proposta di legge n°451 fatta dalla regione Veneto per tagliare il 17% degli ettari complessivi del parco regionale della Lessinia, trasformandoli in zona contigua.

Questa proposta di legge, per quanto ne sappiamo, è stata portata avanti con un focus preciso, ovvero la gestione del problema dei cinghiali: lei è laureato magistrale in Scienze Ambientali a Padova e con un Master in Gestione e amministrazione della Fauna Selvatica e ha approfondito in particolare i temi della complessa relazione tra uomo e fauna selvatica. Inoltre viene dall’Abruzzo, regione famosa in tutta Europa per il suo verde, casa di tre bellissimi parchi nazionali: il PN Gran Sasso Monti della Laga e PN della Majella e il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise.

Oggi la vorremmo intervistare per poter presentare un quadro specifico della situazione, sia per quanto riguarda la Lessinia che per aver un’idea meno generica delle possibilità di gestione dei parchi, in un momento di fragilità comprovato.

Ci può spiegare in modo semplice e generale come funziona la gestione della fauna selvatica?

La gestione della fauna selvatica comprende tutte le operazioni che contribuiscono all’obiettivo di ottenere una relazione armoniosa tra ambiente naturale, uomo e fauna.

La gestione è uno strumento operativo della conservazione, il cui obiettivo è quello di mantenere in equilibrio le popolazioni di animali selvatici, che a loro volta svolgono funzioni importantissime per l’ambiente e per le altre specie.

Immaginiamo una navicella spaziale.
Tutte le sue componenti, sia le piccole che le grandi, sono fondamentali e collaborano tra di loro per far funzionare una macchina di grande complessità.

Ecco, un ecosistema è ancora più complesso di così ed ogni specie, ogni popolazione, ogni individuo svolge un ruolo importante per il funzionamento della navicella, che poi sarebbe il nostro pianeta.

La fauna nello specifico svolge un ruolo chiave in molti processi naturali e contribuisce alla salute degli ecosistemi. Naturalmente un sovrannumero di alcune specie, oppure delle specie animali che si trovano nel “posto sbagliato”, possono
invece avere effetti negativi per l’ambiente.

Si pensi al gambero rosso della Louisiana, specie americana importata che sta distruggendo i nostri ecosistemi fluviali, oppure al più noto problema dei cinghiali.

Il compito della Gestione è quello di fare manutenzione alla nostra navicella spaziale.

La gestione operativamente si occupa di preservare le specie e gli habitat a rischio e agisce per “controllare”, rimuovendone le specie in sovrannumero, dannose per l’ecosistema o per l’uomo in modo che il socio-ecosistema possa funzionare in maniera ottimale garantendo una più grande diversità possibile.

Questo a grande scala fa sì che la nostra navicella spaziale possa viaggiare tranquillamente.

A scala locale, a farla semplice, chi si occupa di gestione deve monitorare le popolazioni delle specie (in questo caso il gruppo di cinghiali diffusi in Lessinia) e deve sapere se ce ne sono “troppi” o “troppo pochi”, ed agire di conseguenza tramite azioni dirette o indirette. Tra le azioni dirette si dice appunto “controllo” la pratica di abbattimento di individui atti a controllare il numero di popolazioni in espansione e dannose, come quella del cinghiale.

Naturalmente tutto seguendo parametri scientifici ben definiti, tenendo presente l’età e il sesso degli individui ed altre variabili.

Le azioni indirette sono tutte quelle di prevenzione delle interazioni negative tra uomo e fauna, come i danni alle colture, gli incidenti stradali e cosi via.

In Italia la gestione faunistica è affidata alle regioni, e agli enti Parco, supervisionati dall’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale.

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ph. Danny Rambaldo

In Abruzzo i parchi sono nazionali, mentre la Lessinia è regionale: ci può elencare le differenze formali
tra i due modelli di parchi, affidati alla regione e allo stato?

Dal punto di vista naturalistico non c’è una differenza sostanziale tra parchi regionali e parchi nazionali.

La legge quadro per le aree protette (394/92) lascia intendere che i parchi Nazionali dovrebbero proteggere zone di maggiore rilievo naturalistico e quindi di maggiore interesse di conservazione dei parchi regionali.

D’altronde questo non è sempre vero, ad esempio il Vesuvio è protetto da un parco Nazionale mentre l’Etna da uno regionale, ma si può dire che l’uno ha più importanza dell’altro?

Quindi la differenza nazionale/regionale non comporta una gerarchia di importanza, o almeno non necessariamente.

La differenza sostanziale è a livello amministrativo.

La legge quadro fornisce indicazioni dettagliate e piuttosto specifiche rispetto all’istituzione dell’ente parco nazionale, dei soggetti gestori, degli organi dell’ente e di come si compone il consiglio, imponendo un controllo statale a garanzia della persecuzione degli interessi pubblici.

La stessa legge invece dà indicazioni piuttosto generali rispetto all’istituzione e all’organizzazione amministrativa dei parchi regionali, che è definita da una legge istitutiva regionale e che inevitabilmente conferisce maggiori poteri alle amministrazioni locali, in particolare alla regione e alle comunità montane (ove ancora esistenti) e i comuni interessati.

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Quali possono essere, a livello teorico scientifico e a suo parere, le modalità di tutela e controllo della
popolazione dei cinghiali possibilmente adottabili?

Ormai il problema del cinghiale è un problema irrisolto e di difficile gestione in tutta Italia.

Pensare di ridurre significativamente il numero degli individui come unica soluzione è impensabile, ed eliminare il problema non è una strada percorribile. Bisognerebbe piuttosto lavorare verso una filosofia della “convivenza” tra uomo e fauna.

Innanzitutto, bisognerebbe potenziare gli strumenti di dissuasione e prevenzione dei danni, come recinzioni e dissuasori, e attivare efficienti sistemi di indennizzo.

Seguendo un approccio tecnico-scientifico, lontano sia da una filosofia “animalista” che da quella “venatoria”, si possono pianificare abbattimenti per ridurre il numero di individui delle popolazioni.

Anche all’interno delle aree protette dei parchi nazionali vengono effettuati abbattimenti selettivi, oppure vengono utilizzati i cosiddetti recinti di cattura (gabbie in cui i cinghiali vengono attirati e catturati).

Ricordiamoci però che non esiste una correlazione tra densità di popolazione – numero di cinghiali- e ammontare dei danni.

I fattori in gioco sono tanti.

L’attività venatoria “scriteriata” può avere effetti controproducenti sul delicato equilibrio biologico e sociale dei cinghiali. I cinghiali hanno gruppi sociali matriarcali dove solo una femmina si riproduce.

L’eliminazione della matrona causa l’estro incontrollato delle altre femmine in età riproduttiva con la conseguente proliferazione indesiderata.

In ogni caso la questione di “conflitti di conservazione” spesso è più controversa di quanto sembra.

Gli enti parco e in questo caso le regioni solitamente non hanno risorse a sufficienza per gestire autonomamente la specie e soprattutto i conflitti che ne derivano, e il mondo venatorio, specialmente a ridosso delle aree protette, reclama un ruolo più importante.

Perché? I motivi sono complessi e mischiano ragioni sociali, culturali ed economici.

Spesso i cacciatori rivendicano un ruolo sociale, identitario: una ricerca che ho condotto nel Parco Nazionale del Gran Sasso ha messo in evidenza come i motivi del conflitto tra mondo venatorio, mondo agricolo ed ente parco, in relazione alla questione cinghiale, avessero una forte radice identitaria, legata al senso di espropriazione del territorio percepito dalle popolazioni.

Soprattutto i cacciatori si sentono derubati del loro ruolo di “gestori” della fauna e del territorio.

Spesso inoltre questi conflitti nascondono interessi disparati, a volte non trasparenti, che si intrecciano ben volentieri con gli interessi delle amministrazioni locali.

La questione, come dicevo, è controversa.

Data la delicatezza della situazione di oggi rispetto all’emergenza climatica, lei pensa sia una buona idea
ledere l’integrità di un parco a favore di un maggior controllo sulla fauna o pensa ci possano essere altre
soluzioni adottabili per evitare la perdita del 17% degli ettari, seppur con un controllo più efficiente sulla
fauna?

Assolutamente no, anzi!

Tralasciamo, anche se è folle, il punto di vista culturale, dell’epoca in cui stiamo vivendo e della necessità di dare priorità alla protezione del nostro ambiente per garantire un futuro al nostro pianeta.

Intanto, cosa succederebbe se la legge fosse approvata?

Molto semplicemente è probabile che gli animali continuerebbero ad usare il restante parco come rifugio, una volta imparato che la zona che adesso è sicura, sarà nuovamente destinata alla caccia.

Quindi il problema non verrebbe affatto risolto.

I parchi si devono munire di Piani di gestione appositi per affrontare situazioni come queste stabilendo con metodo scientifico le modalità più adatte per poterli attuare.

In alternativa, nei parchi si possono adottare i piani di controllo predisposti dalla regione.

Esistono quindi azioni analoghe che l’ente parco può portare avanti per mitigare il problema, senza bisogno di mutilarsi e aprirsi alla caccia. Ricordiamoci che un territorio protetto è un territorio giuridicamente vincolato, un territorio che viene salvaguardato dal punto di vista naturalistico e preservato da opere antropiche che ne comprometterebbero il futuro.

Un esempio virtuoso di buona gestione del problema cinghiale in area protetta che vorrei riportare si trova ad Amatrice, nel Parco Nazionale del Gran Sasso.

Nelle aree coltivate il cinghiale fece danni devastanti ed il conflitto fu davvero forte.

L’ente Parco, non senza difficoltà, portò avanti un processo partecipativo, dei tavoli, affidando ad alcuni agricoltori della zona, opportunamente seguiti, dei recinti di cattura.

Col tempo si formò una consorzio di agricoltori che cattura i cinghiali e ne trasforma la carne, trasformando il problema in opportunità; ci sono voluti diversi anni di lavoro.

Non è detto che questo possa funzionare in Lessinia naturalmente, ma il punto è che l’iniziativa sia nata da
un dialogo, seppur difficile, tra ente parco e comunità locali.

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Qualche consiglio chiaro sulla situazione ormai mediaticamente offuscata?

I conflitti uomo-fauna spesso nascondono conflitti più profondi tra visioni del territorio, tra interessi di categorie e conflitti sociali, come già detto identitari. Anzi spesso vengono utilizzati per mascherare interessi più vasti.

Questo vale in Veneto, come in Abruzzo, come in Kenya: conflitti del genere sono studiati e documentati in tutto il mondo.

I parchi sono ovunque percepiti come enti “calati dall’alto”, e imponendo dei vincoli di vario genere sull’uso del territorio, farciti da una buona dose di burocrazia spesso indigesta, non sono ben visti dalle comunità locali, che si sentono espropriate del loro luogo nativo.

Bisogna innanzitutto comprendere la radice psicologica di questi conflitti, legata alla marea di interessi economici ad essi legati.

A partire da questa comprensione possono essere instaurati ragionamenti che uniscano le necessità di sviluppo e valorizzazione delle comunità e delle economie del parco, e le necessità ambientali e di conservazione dell’area.

Le aree interne in tutta Italia fanno fatica, i settori agro-pastorali sono spesso in difficoltà, ma dall’altro lato la crisi climatica e ambientale globale non lascia spazio a capricci di nessun genere, a maggior ragione se riflettono solo interessi personali di pochi.

Gli abitanti di queste aree dovrebbero essere da un lato sensibilizzati sul loro ruolo di baluardi della conservazione, veri eroi della nostra epoca, e dagli altri aiutati nel sostenere questa difficile posizione.

Purtroppo, non esistono consigli preconfezionati e adatti ad ogni contesto.

Ultima domanda: come pensa si potrebbe agire per evitare di cadere in banalizzazioni e per puntare ad
una linea di efficienza rispetto al parco della Lessinia?

Quello che si dovrebbe idealmente fare è di essere in grado di vedere la situazione nella sua complessità e cercare per quanto possibile di dialogare, non lasciandosi andare a facili dichiarazioni, e questo vale anche per il mondo ambientalista.

Sicuramente la motivazione “cinghiale” è poco credibile per giustificare il taglio del parco, che riguarda zone di elevato pregio archeologico e naturalistico e altamente caratterizzanti il territorio.

Bisognerebbe guardare altrove per cercare le cause di questa mossa: interessi politici, economici, elettorali, ma non voglio spingermi oltre.

I territori devono avere una certa dose di creatività per affrontare le complesse sfide e le trasformazioni socio-ambientali di questo momento storico.

Bisogna poter attingere da tutte le risorse messe a disposizione.

Certo la mossa della regione Veneto di rifiutare di partecipare al progetto europeo WolfAlps per la conservazione del lupo in tutto l’arco Alpino, che avrebbe portato risorse economiche ed umane a sostegno di una regione che da questo punto di vista è in difficoltà, è al quanto incredibile.

Tuttavia cedere a delle finte soluzioni che mirano soltanto a calmierare gli animi di qualcuno per qualche anno, o a sistemare altri pochi, è un segno di sconfitta.

Quindi il movimento popolare della Lessinia è stato importante e spero venga seguito da proposte di valorizzazione del territorio serie che possano garantire una relazione armoniosa tra uomo e fauna selvatica e che mirino ai prossimi 20-30 anni e non alle
prossime elezioni.

La ringraziamo infinitamente per il suo supporto e per i suoi approfondimenti, necessari in un momento di confusione come questo. A presto Valerio!

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