La via degli Dei, la traversata di 130 km attraverso gli Appennini che collega le città di Bologna e Firenze, forse il cammino più gettonato d’Italia.
L’ho fatta la settimana scorsa e ti racconto la mia esperienza, accompagnata da un video.
Non è un trekking
Io cammino, vado in montagna, ci dormo, ci sudo, ci fatico… e ci torno: il cammino non è un trekking.
Sebbene si somiglino e nel cammino ci possa essere un trekking, i due tipi di attività richiedono approcci molto differenti.
Questo articolo non sarà di certo una guida, non oggi almeno. Sarà un breve resoconto di ciò che ho vissuto facendo la rinomata Via.
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Non solo fisico
Nemmeno i trekking impegnano solo il fisico, e se frequenti la montagna sai bene che la testa fa molto nelle salite che affronti per giungere in vetta, ma il cammino è differente. Te ne accorgi al secondo giorno. Quando parti, la prima tappa ti stanca, hai l’entusiasmo dell’inizio, della nuova avventura, ma l’indomani, al tuo primo risveglio, qualcosa è già cambiato. No, non parlo di spiritualità, ma di attitudine al cammino.
Il primo giorno, per farti un esempio, il mio amico e io abbiamo percorso 34,4 km, una distanza mai percorsa in vita mia, tantomeno in montagna. Siamo arrivati a destinazione letteralmente distrutti. Le mie ginocchia mi davano da intendere che l’indomani sarei tranquillamente potuto tornare a casa, in treno.
L’indomani ci siamo svegliati e, come per magia, l’indolenzimento era generale ma non devastante. Abbiamo fatto colazione, ci siamo caricati gli zaini a spalle e ci siamo avviati in questo susseguirsi di passi perpetuo fino a sera, per altre 8 ore circa e 22,6 km.
Anche questa distanza è abbastanza notevole per il mio/nostro solito, eppure la semplice idea del “Sono 12 km in meno rispetto a ieri” l’ha fatta sembrare quasi una passeggiata. Questo intendo col cambiamento.
Durante il cammino ci si trasforma, dolori qua e là e zaino diventano un tutt’uno col corpo e con la mente. Se si è stanchi si continua comunque, ma la stanchezza arriva dopo, più in là rispetto al solito. Capisci che il tuo corpo, se la mente lo assiste, può andare ben oltre ai soliti limiti della zona comfort.
A PROPOSITO DI TREKKING
Emozioni infinite
Ho tratto molti insegnamenti da questa mia prima esperienza sulle lunghe distanze.
Ho imparato che:
- Quando il corpo è finito, è finito (mi sono procurato una tendinite che mi ha imposto uno stop alla quarta tappa)
- Puoi fare più di quello che credi
- Siamo fatti per camminare
- Le distanze sono relative e una volta superato il limite personale, puoi ritarare i tuoi standard
- Dover abbandonare (in realtà sospendere) per qualche chilometro non è fallire
- Posso essere felice anche senza raggiungere la vetta
- Non sono ancora abbastanza filosofo e un retrogusto amaro per l’infortunio m’è rimasto: tornerò al più presto a vendicare il mio tibiale anteriore!
- Le relazioni umane sono tanto profonde quanto sono intensi i momenti vissuti assieme
- La felicità non è data dalle cifre dei km raggiunti (anche, ma non solo)
- Che la casa è una gabbia, a volte
- Che camminare è terapeutico
- Camminare è meditare
- Che il mondo è pieno di persone meravigliose
Ok, mi fermo, non voglio andare troppo lungo col testo e ti lascio il video che racchiude ciò che è stato.
Quello che posso dirti è che ora posso dare credito a chi mi diceva:
“Vedrai, sarà l’esperienza più bella della tua vita”.
E così è stato, nonostante il dolore che tuttora percepisco e la “sconfitta”, è davvero stata un’esperienza che non se ne andrà mai da questa memoria.